lunedì 22 agosto 2016

Nottambuli / 3



Edward Hopper, Nottambuli, 1942
Chicago, Art Institute
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WOLF WONDRATSCHECK

NIGHTHAWKS: DAL DIPINTO DI EDWARD HOPPER


È notte
e la città è deserta.
I più fortunati sono a casa,
o più probabilmente
non ne sono rimasti.
Nel dipinto di Hopper rimangono quattro persone
il solito gruppo, per così dire:
l'uomo dietro il bancone, due uomini e una donna.
Amanti dell'arte, potete lapidarmi
ma conosco piuttosto bene questa situazione.
Due uomini e una donna
come se fosse per puro caso.
Osservi la composizione del dipinto
e quello che ti colpisce è il piacere erotico
del vuoto totale.
Non dicono una parola, e perché dovrebbero?
Entrambi fumano,ma non c'è fumo.
Scommetto che lei gli ha scritto una lettera.
Comunque sia, lui non è più l'uomo
che ha letto due volte le sue lettere.
La radio è rotta.
Il condizionatore ronza.
Sento una sirena della polizia lamentarsi.
In un portone a due isolati da qui, un drogato geme
e si infila un ago nella vena.
Quella è la parte che non riesci a vedere.
L'altro uomo è tutto solo
a ricordare una donna,
anche lei indossava un vestito rosso.
Questo accadde anni fa.
Gli piace sapere che donne come questa esistono ancora
ma non è più interessato.

venerdì 12 agosto 2016

Il levriero

 

Levriero

Giandomenico Tiepolo, Il levriero
Venezia, Civici musei veneziani

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DEREK WALCOTT

IL LEVRIERO DI TIEPOLO

E un giorno, all’ombra delle acacie sulla spiaggia,
scorsi nella luce di mezzodì la parodia del levriero

di Tiepolo che non esigeva ricerca e lì, a suo agio
sull’erba sbiancata dal sale, non era ancora stato dipinto.

Avevo già visto levrieri sgranchirsi al guinzaglio,
le membra tese sugli arazzi della primavera;

ma ora avevo trovato, nell’azzurro della spiaggia,
questa cosa barcollante, abbandonata, senza casa.

E lei pianse, mossa a pietà. Non era
un cagnolino coccolato nella cuccia di raso,

né il bastardino di Goya che ti scruta
da una crepa dell’abisso infernale del Prado,

ma un cane scosso dal terrore,
insicuro di tutto, anche della sua ombra.

La pancia gonfia tremava per il bruciore
della fame; lei lo prese in braccio con un gemito;

questa era l’eredità del bastardino, non l’affresco grandioso,
ma disprezzo, abbandono, e forse abbastanza

speranza e amore da aiutarlo a vivere
come tutta la sua specie, e carità, e affetto;

l’abbiamo portato al villaggio perché sopravvivesse
come sopravvissero i miei antenati. Ecco il levriero.

(da Il levriero di Tiepolo, Adelphi, 2005 – Trad. di Andrea Molesini)

martedì 2 agosto 2016

Sole in una stanza vuota

 

Hopper

Edward Hopper, Sole in una stanza vuota, 1963
collezione privata

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HERNÁN BRAVO VARELA

(SOLE IN UNA STANZA VUOTA, 1963)

Nell'ultimo dipinto di Edward Hopper
c'è una stanza vuota.
 
Tranne per due pareti, bagnate da un sole
invisibile che entra da una
finestra che suggerisce il fogliame sfumato
di un albero ancora più sfumato.
 
Le pareti condividono
un angolo d'ombra.
 
Nel dipinto,
le persone stanno per arrivare. Stanno
per gettare le buste della posta
sotto la porta, stanno
facendo tintinnare le chiavi
in una tasca, stanno
per traslocare
o per chiudere la casa.
 
Da un momento all'altro.
 
Ma niente si sente, neppure i rami
dell'albero che colpiscono i vetri
della finestra, il vento
che agita quei rami.
 
L'imminenza
è un'ipotesi
di quello che succede adesso, senza di noi:
noi che, in piedi fuori o dentro la casa,
esitiamo un momento a entrare o uscire
di nuovo, come se dimenticassimo qualcosa
in un posto che non dimenticheremo.
 
Siamo lì con le chiavi
in mano, guardando quello spazio vuoto. Restiamo
immobili, in piedi, davanti alla porta
 
che torneremo
ad aprire per poi chiuderla da un momento all'altro.
 
*
 
Se in una stanza vuota guardassimo avanti,
non saremmo in un nessun posto.
 
Perciò non possiamo vedere il sole
in Hopper, e perciò proiettiamo
un'ombra che non possiamo vedere
a meno di abbassare lo sguardo.
 
Come l'angolo delle due pareti
nell'ultimo dipinto,
appeso in un angolo del museo
in penombra.
 
Il custode è dietro
il gabbiotto, immobile,
seduto, e un cappello gli copre la testa.
Le chiavi pendono dalla sua cintura
e tintinnano appena al contatto
con la gamba.
 
Il custode è dietro
qualcosa, ma non sa cosa.
(Un cappello gli copre la testa.)
 
Forse dietro l'aprire e il chiudere la sala
dal martedì alla domenica.
 
Nel frattempo, non sa
far altro che aspettare, cosa guarda la gente nel quadro
su una stanza vuota.
 
Come Hopper.
Quando gli domandarono cosa cercasse
con questo quadro, disse: “sto cercando me”.
 
Usciamo dal museo.
La luce ci abbaglia per qualche secondo
e, a mezza strada, ci siamo dimenticati dove
batteva il sole nell'ultimo quadro,
se l'albero era un albero o un arbusto.
 
Stiamo per tornare a casa da un momento
all'altro.


National Gallery, 13 gennaio 2008
Washington, D. C.